venerdì 31 marzo 2017

G.H. Mumm Champagne Mumm de Cramant Blanc de Blancs s.a.




Come si evince dal bollino, è l’edizione che celebra il centotrentennale della nascita di questa cuvée (1882), la quale impiega le migliori uve Chardonnay, provenienti dal villaggio Grand Cru di Cramant, Costa dei Bianchi.
Si tratta di un millesimato, non dichiarato in etichetta, il cui già delicato perlage, è accentuato da una pressione volutamente inferiore - 4,5 bar, anziché i 6 abituali – e chiamato, in gergo, demi-mousse.
La mia boccia – al momento, splendida ultima, di tante e tutte ottime – è annata 2011, prise de mousse marzo 2012, dosata a 6 grammi, con dégorgement giusto 5 anni fa.

Ulteriori cinque anni di vetro, mi offrono un liquido spumeggiante e dai bagliori verdi, di ostinata e sottilissima effervescenza.
Bouquet di classe cristallina e freschezza scintillante, che alterna eleganti fiori bianchi a bergamotto e cedro, crema pasticcera a burro, tostature a mandorla e spezie.
E’, tuttavia, la cifra gessosa, ça va sans dire, pur nella sua delicatezza, il timbro più qualificante e che marchia a fuoco l’olfattiva.




Mineralità marina che si ripropone e si appropria, in modo raffinato, di una bocca, piacevolmente rotonda e di lieve sapidità, nonchè simmetricamente lineare con le traiettorie olfattive. Dinamici, i rimandi agrumati e di frutta esotica, in un quadro di cremosa acidità, garbata e pesatissima.
Chiude alla grande, con intensificata persistenza, su pregevoli allunghi salmastri e sfumature di torrone e zucchero filato.

Sempre più assuefatto alla luminosità del terroir di Cramant e alla sua grassa eleganza.



martedì 28 marzo 2017

Michele Chiarlo Barolo Cerequio 1998




Rosso rubino spiazzante. Piacevolmente. Osservando il tappo, direi imbottigliato ieri pomeriggio, già verso sera.

Al naso è la quintessenza della giovinezza, ma anche riservato e forse diffidente.
Si concede poco a poco, sospettoso e con circospezione: prugna e marasca sotto spirito, sbuffi di rosa appassita, scatola di sigari e umori speziati.
Guardingo e contratto, ma di portamento elegante.

La classe del lieu-dit emerge al palato, vestendolo di tutto punto e confezionando sorsi di raffinato piacere. Si intensifica aromaticamente, inserendo arrangiamenti balsamici e di sottobosco, alle impressioni olfattive, diventate, via via, più nette e avvolgenti.
Tessitura di prestigio e acidità svettante, bilanciamento alcolico ed eleganza tannica, per un lungo epilogo, con armonici rimandi di tabacco ed eucalipto.

Impressionato dalla giovinezza di questa bottiglia, la quale, appurate le premesse, lascia presagire tanto una lontanissima, e lentissima, evoluzione, quanto un radioso futuro.



venerdì 24 marzo 2017

Fleury Père & Fils Champagne Extra Brut 2000




Altro, ennesimo gioiellino, proveniente direttamente dalla cantina di Monsieur Jean Pierre, in quel di Courteron.
75 Pinot Nero e 25 Chardonnay, niente malolattica – come spessissimo succede con i suoi vini – quasi 10 anni sui lieviti, sous bouchon liège, più altri sei in vetro.

Tempistica azzeccata e boccia in splendida forma, a partire dal perlage, molto fine e inarrestabile.
Freschissimo e complesso, con alcuni aromi in versione già, giustamente, confit, senza toccare, per altro, corde ossidative.
Tantissimo zucchero filato, sentori di pane grigliato e agrumi canditi, con l'attacco arrembante della mineralità salmastra, esplosiva, di lì a poco.

Di effervescenza sferica e carezzevole, entra teso e vellutato, allo stesso tempo, con precisa verticalità, priva di inutili isterismi da basso dosaggio.
Avvolgenze di gesso al cubo, mirabilmente fuse a pepe bianco.
Sorsi di cremosa eleganza e profondità, per una persistenza ad alto minutaggio.
Cioccolato bianco, tartufo e tanto iodio, costituiscono l’epilogo di una boccia scattante e vivissima, la quale, piacendo, potrebbe restare in cave, a crescere ancora.


martedì 21 marzo 2017

Rocche del Gatto Pigato 2010




Non conosco personalmente - solo di vista - il signor Fausto De Andreis, una sessantina di vendemmie sulle spalle, definito da qualcuno anarchico della vigna.
Dopo aver bevuto i suoi vini, mi son curiosamente chiesto “ma perché anarchico?”

Con questo Pigato è stato coup de cœur; per ulteriori conferme, rivolgersi al coniglio alla ligure, in accompagnamento.
Macerazione, il tempo giusto e necessario, acciaio, riposo sulle fecce, niente filtrazione e poca solforosa. Tutto secondo la sensibilità di Fausto.
Anarchico?

Un vino di rara territorialità, dorato e secchissimo, con complessità crescente allo scorrere del tempo. Un calice via l’altro, che profuma e sa di mare, alga e salsedine, albicocca e pesca, cedro e arancia. E quei sentori che ti proiettano sulle colline liguri, fronte mare, in una dimensione balsamica e di macchia mediterranea – rosmarino e menta - con speziatura piccantina, quasi bruciante. E salino.

Dodicigradipuntocinque di meraviglia e bellezza, di profonda tensione gustativa.
Incanta in allungo.
Raramente ho trovato tanta pulizia e rigore, che fanno il paio con carattere e personalità.
Anarchico?

Per me, anarchico, lo è chi fa vini all’opposto.
Anarchico è il vino impreciso, difettoso, ridotto/ossidato a canna e altre pregiate essenze, di cui non sto qui a smenare.

Fausto anarchico?
Un lemma usato a vanvera, svuotato del suo significato e che mi ha garbatamente stancato. Come quello usato da un ex venditore di elettrodomestici, convinto di essere il creatore e custode del cd vino libero, facendone una mezza crociata, forse ignorando che il Fausto è da mo' che lo fa, indicandolo, al plurale, in etichetta.