venerdì 27 settembre 2013

Aoc Blanquette de Limoux Demi-Sec s.a. Domaine de Flassian





Trovandomi, mesi fa, in un hypér transalpino e attratto ancor prima dalla declinazione in dolce della tipologia – mai bevuta prima – che dal prezzo – un pugno di euri - mi sono arreso alla curiosità di questa Blanquette Languedocienne.
Sul retro dell’etichetta sono riportati i vitigni usati in questa cuvée: Mauzac, Chardonnay e Chenin Blanc, non le percentuali, pur intuendo largo uso del primo. Il metodo di vinificazione è quello traditionelle con il dosaggio che si colloca in una forchetta che viaggia tra 32 e 50 grammi/litro di residuo zuccherino.

Il suo colore è giallo paglia intenso, carico. Annuso e, stranamente, non scorgo dolcezze – vero il contrario - ma garbati aromi di mela, fiori bianchi e zenzero. Mi stonano, favorevolmente, una superba mineralità ed una fortissima carica idrocarburica.
E al palato è pure meglio. Bocca coerentemente avvolta nei tratti idrocarburici e minerali, con una verticalità che non mi aspettavo. Sullo sfondo – ben lontano – un tocco dolce. E, per soprammercato, aggiungo che si è difesa bene anche quanto a longueur.
Abbinamento convincente con paste secche e rammarico di averne comprata una solamente. 

martedì 24 settembre 2013

Igp Terre Siciliane Bianco Vignammare 2012 Barraco





Ho incrociato Nino, e i suoi vini, lo scorso novembre a Vini di Vignaioli a Fornovo e alcuni mesi fa, complice una mia breve vacanza in terra siciliana, sono stato a respirare le sue zolle. Subito, per oltre un’ ora nelle diverse vigne; dopo, a casa sua, a rinfrescarmi la memoria, in compagnia di sua moglie Angela e della piccola e affamata Alice – poverina, erano le 20 passate.
E’ stato edificante e didattico muoversi tra i filari dei suoi vigneti, molti dei quali finiscono dove comincia il mare, compresa questa del Vignammare, a Petrosino, in contrada Corleo.

Oltre alla piacevolezza della passeggiata e della conversazione, il vedere la collocazione “fisica” della vigna, servirà per certificare e avvalorare – o sbugiardare - il contenuto del calice; in altre parole “tastare” la traduzione in liquido del vissuto, anche attraverso l’apparato respiratorio, delle piante.
Il vigneto è a cinquanta metri dal mare, le onde ti accarezzano, e veicolati dalla brezza marina, ti raggiungono sapori di sale, alga, iodio che rinfrancano e riordinano i polmoni.

Questo è Grillo in purezza, il 2012 è la prima annata prodotta, con le vigne che frequentano ancora l’asilo – hanno appena cinque anni - e se il buongiorno si vede dal mattino...
E’ un giallo debole, con qualche velatura a spiegare e discolpare l’assenza di filtrazione. Avvicino il naso e sento zampilli di giovinezza; è freschissimo e profuma di mare - più reale dire ne è impregnato - di fiori e di frutta. Mi ghermiscono aromi di ostrica, di iodio, di roccia marina, di sale, con il melone e la pesca a pennellare la parte del frutto.
In bocca riflette, enfatizzandolo, il corredo aromatico, soprattutto nella componente marina, a discapito di quella fruttata. Proprio il mare, con i suoi sapori, ha marchiato questo boccia, per quel quarto d’ora di vita che ha resistito, data l’altissima bevibilità, “esasperata” da soli 11,5 gradi. Un’ acidità appuntita ed accentuati tratti minerali, iodati e salini, timbrano un sorso di tenace persistenza.

Questa bottiglia è l’autografo, in calce, di Nino al concetto, provato e documentato, di territorialità di un vino, dei suoi vini.
Mio caro Nino, il Vignammare non potevi chiamarlo in alcun altro modo. Nomen omen.






venerdì 20 settembre 2013

Doc Barbera d'Alba 2011 Giuseppe Rinaldi





Il colore di questa Barbera del Citrico, spiega e conferma perché da queste parti – Piemonte sud-ovest – il vino rosso passa, in dialetto, sotto la definizione di vino nero. E’ proprio così, un rubino cupo e fitto, praticamente impenetrabile. Un nero inchiostro, che è custode di profumi tersi, articolati e profondi: si parte dai frutti scuri – prugna, ciliegia, amarena,– per arrivare a quelli di bosco – fragolina, mora e lampone – incontrare un bel floreale fatto di viola e rosa, e distendersi fino a speziature dolci e polvere di cioccolato.

In bocca è elegante, capace e la ricchezza di frutto e di polpa - avvolgenti e straripanti - circoscrivono una sussurrata e flebile, ma costante, carbonica. L’acidità frusta e fa vibrare il palato che è investito da progressione elettrizzante. Struttura superba ma semplice – non è un vinone palestrato, anzi - equilibrio integro e millimetrico tra le componenti che arginano e domano un volume alcolico étonnant (14,5%), trasformandolo in un vino glou glou, dalla beva trascinante e incontrollabile. A corollario, cenni minerali precisano un lungo finale all’insegna del frutto.

Bevuta paradigmatica che regala letizia. La grammatica e la pratica del Beppe di Barolo.





martedì 17 settembre 2013

Aoc Champagne Fleur de Champagne Brut s.a. Duval-Leroy






Era da qualche annetto che non bevevo questo champagne e l’ho voluto riprovare, sia perché conservo, tuttora, un bel ricordo, sia per verificare quanto, nel frattempo, fossero cambiati i miei gusti.

I numeri della Duval-Leroy - proprietaria di circa 200 ettari che coprono solamente per un terzo il suo fabbisogno - sono già di elevato spessore, con una produzione che tocca sei milioni di bottiglie.
Per questo champagne, la maison si limita ad indicare i cepages che vi concorrono – Chardonnay e Pinot Nero – ammettendo sì il predominio della bacca bianca, tuttavia, tenendo segrete le percentuali. Parimenti, non viene indicata la data di sboccatura, anche se la dilatazione del tappo mi induce a ritenerla abbastanza recente.

Alla vista è giallo tenue con abbondante spuma e fine effervescenza, mentre il naso, se si esclude una marginale parte di fiori bianchi, ruota molto sui frutti rossi, classici, da Pinot Nero e su aromi di biscotto secco, con un tocco minerale di tutto rispetto.

In bocca è fine ed elegante, rivelandosi subito ampio. C’è coerenza e si ripropone, anche qui, il dominio della bacca nera, con i frutti rossi sugli scudi che mostrano la spalla, inequivocabile, pinotnerotteggiante. Non difetta sia di freschezza che di acidità e col passare del tempo si allarga, ulteriormente, quella splendida vena minerale. Anche il dosaggio risulta ben integrato – e sappiamo quanto i grandi marchi siano generosi con la liqueur. Il sorso scorre veloce, con buona persistenza, per terminare su toni minerali, anice, spezie ed un cenno, piacevole, di amarostico, quell’amertume che i cugini adorano.
L’accoppiata con tonno fresco – cattura mare nostrum - appena scottato, è stata premiante.

Beh, me lo ricordavo, pressappoco, in questi termini o forse non così buono. Ah, la memoria.
Venti eurini, più spedizione, sul web. Ça suffit?


venerdì 13 settembre 2013

Igt Sicilia Ramì 2010 Cos






Tre amici hanno fondato nel 1980 questa azienda, il cui appellativo è l’acronimo dei loro tre cognomi – per inciso Cilia, Occhipinti e Strano. Negli anni l’azienda ha sempre più assunto una sua connotazione ben definita, abbracciando i principi della viticoltura biodinamica ed iniziando, dal 2000, ad affinare parte della propria produzione anche in anfore. Non essendo mio costume smerigliarvi con inutili e ampollosi panegirici, vi invito a visitare il sito per conoscere la loro storia e la loro filosofia.

Qui, sic et simpliciter, interessa parlarvi di questa bottiglia.
Il Ramì è l’unione, in parti equivalenti, di Inzolia e Grecanico; per la vinificazione si ricorre a vasche in cemento vetrificato, con le bucce che rimangono a contatto per una decina di giorni.
Nel calice è oro sgargiante, con riflessi quasi ambrati. Al naso è un’esplosione di frutta gialla – albicocca e melone - agrumi – arancia e cedro in rilievo – fieno, mandorle e una virgola di miele.

In bocca entra morbido, fresco e avvolgente con i profumi che trovano esplicita e precisa espressione a livello gustativo. Si ripropone, in particolare, la parte fruttata, che si appropria quasi totalmente del palato. E’ avvincente, inoltre, l’aspetto minerale che emerge nella seconda parte del sorso, sostenuto da buona acidità. Una bottiglia che non difetta sia di complessità che di equilibrio e termina sapida, con media persistenza.
Non se lo filano in tantissimi, ma mi è piaciuto una cifra.

martedì 10 settembre 2013

Doc Barbera d'Alba Tre Vigne 2011 Vietti





Avevo recensito, ad inizio anno, la Barbera di questo produttore, versione 2009, in uno dei miei primissimi posts. Non ne era uscita in termini, ahimè, tanto lusinghieri. Questa volta è andata meglio. Sarà stata questa bottiglia, il millesimo, la compagnia, il fatto che si era in montagna…

Nel calice un bel rosso rubino, con il naso che è molto impostato sul frutto, fresco ma non più vinoso. Assai marcate le gradevoli note della frutta rossa – amarena e  cilegia a dominare - del sottobosco e delle spezie dolci.

In bocca buona freschezza, elevata acidità ed ottimo equilibrio. Giusta l’aderenza con il quadro olfattivo, con i quattordici gradi dell’alcol – stavolta - non pervenuti, ergo beva golosissima. Ha accompagnato, e sgrassato benone, un piatto fumante di polenta e salsiccia.
Questa volta, a pieno titolo, nella tipologia vin de soif.

sabato 7 settembre 2013

Igp Friuli Venezia Giulia Bianco Carat 2006 Bressan





Toh, chi si rivede. Questa volta sotto una forma e un contenuto un po’ diversi. Forma ben più sottile di quel Mister T friulano di Fulvio; circa il contenuto, ve lo confido subito.

Questo è un assemblato di tre vitigni: Malvasia, Friulano (Tocai) e Ribolla Gialla che macerano per circa un mese ed il millesimo è l’ultimo in commercio.
Il colore è quello dell’oro, brillante, con avanzata propensione all’ambra. Il mio olfatto è colpito, sulle prime, da una forte componente idrocarburica, che si mescola, e si alterna, con la polvere da sparo. Successivamente, arriva la frutta matura - nettarina, albicocca e arancia – anche tropicale - ananas e mango. Del miele, una piacevole nota di mandorla e un cenno di speziatura, completano questo quadretto fortemente cangiante.

Al palato entra secco, fresco e slanciato da buona acidità. L’aspetto gustativo è la traduzione, assai schietta, di ciò che ho scoperto con l’olfazione. La frutta matura si contende il primato con l’aspetto sapido-minerale del sorso, all’interno di un giusto bilanciamento tra acidità e morbidezze, cui si affianca il tocco idrocarburico che imprime verticalità. 
Lo “ammonisco” per una persistenza non lunghissima, ma di ciò mi accollo una fetta di responsabilità in quanto, proprio in virtù di una beva fluida, non gli ho concesso, forse, il tempo necessario affinché potesse esprimere tutto il suo potenziale, anche sotto questo profilo; profilo che verificherò nei successivi stappi, disponendo, opportunamente, di congrua scorta in cantina. 

Una boccia che vi consiglio - anche se non amate troppo la tipologia macerata - e che vi farà conoscere la passione, il carattere e la sincerità dell’eno-mondo Bressan che, come sostiene Fulvio, si avvera e si concretizza per il 99% in vigna.


mercoledì 4 settembre 2013

Aoc Champagne Cuvée n° 736 Extra Brut s.a. Jacquesson





Tre indizi fanno una prova?
“…il migliore della serie 700, olfatto ricchissimo, tenace persistenza, profondità all’assaggio, champagne della svolta... superbe nez, structure remarquable, fraicheur, expressivité, puissance…”

No, non ho sintetizzato, in poche parole, l’ultima cuvée numerata dei fratelli Chiquet, né ho adottato la lingua dei cugini. Ho riportato alcuni giudizi di esperti, bloggers, giornalisti et similia.

Mettiamo un po’ d’ordine. Il mio primo assaggio risale a circa due mesi fa, durante una degustazione di champagnes. Non mi aveva sbalordito, lo ammetto, ma si sa, durante questi incontri si chiacchiera, si osserva, si… – almeno io – e può succedere di perdere di vista quello che c’è nel bicchiere. Orbene, questa settimana ho deciso di aprirne una – berla tout court- la cui sboccatura è di agosto dello scorso anno. Sensazioni, e qualcosa di più, che hanno confermato le precedenti. Mah, non convinto, lascio passare qualche giorno e ne apro una seconda, questa con un mese in più di degorgio.
I.c.s., idem come sopra.

La 736 è stata descritta come la cuvée della svolta, dopo che dal 2008 i vigneti – sia quelli di proprietà che quelli dei conferitori – sono passati in regime biologico, e si è detto del 2008 come di un’ ottima annata. Questo è un assemblaggio composto dal 53% di Chardonnay, 29% di Pinot Noir, 18% di Pinot Meunier e dosato a 1,5 g/l. La vendemmia 2008 costituisce l’asse portante, con i vini di riserva che intervengono per il 34% (annate 2006 e 2007).

Questo è il resoconto di due bottiglie, praticamente, uguali.
La spuma è esuberante, con perlage non molto fine. Al naso è dapprima chiuso, ma concederà pochino anche dopo; fin troppo delicato, quasi inespressivo. E in bocca, non è meglio - non lo identifico - con un’acidità veemente e tagliente, unita ad una bolla non molto fine che condizionano e non invogliano alla beva. Un vino slegato, incompiuto e privo di equilibrio, con la carbonica, ripeto, che viaggia a briglia sciolta (in misura maggiore nella seconda boccia).
Purtroppo per me – e per i miei eurini - non ho, nemmeno lontanamente, riscontrato tutta quella mineralità, quella profondità, quella struttura, quella persistenza, di cui hanno beneficiato – felix eos – altri recensori. Cose che non avrei mai pensato di scrivere circa i prodotti di questa Maison.
Da sempre adoro Jacquesson e il suo stile, ma parlando della serie 7xx, queste bevute le colloco tra quelle da dimenticare e già la 735 – raccontata qui – non mi aveva etonné. Mi tengo strette la 733 e 734 (soprattutto), quelle sì minerali, profonde, strutturate, lunghissime, in una parola emozionanti.

Tornando al quesito d’apertura, aveva ragione Agatha Christie o devo invocare, comme d'habitude, la locuzione “bottiglia(/e) iellata(/e)”?